1 Ottobre 2010
COLDIRETTI CON GLI ARTIGIANI PER DIFENDERE IL VERO MADE IN ITALY

Brescia, 1 Ottobre 2010 – «La battaglia di Confartigianato Brescia e del suo presidente Massetti (come emerge da un intervento pubblicato a pagina 31 del Giornale di Brescia di venerdì 1 ottobre, ndr) a difesa del vero Made in Italy è anche la battaglia di Coldiretti. Ne condividiamo le ragioni perché le fortune dell’economia nazionale e il grande prestigio conquistato dal nostro Paese a livello internazionale nell’agroalimentare, nella moda, nel tessile e nel manifatturiero sono per massima parte il frutto unico ed inimitabile della storia, della sapienza e dell’ingegno dei nostri imprenditori, così come sono unici ed inimitabili il territorio, il paesaggio e l’ambiente che generano le eccellenze dell’agricoltura italiana. Tutelare in vero Made in Italy e le imprese che lo producono significa difendere la spina dorsale dell’economia nazionale». Questo il commento di Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Brescia, all’allarme lanciato dal collega di Confartigianato che ha denunciato la “sparizione” della legge Reguzzoni-Versace, nata per etichettare in modo riconoscibile i prodotti nazionali, norma che pare essersi persa tra Bruxelles e Roma.
«Un mercato globale che regola la concorrenza solamente sulla base del prezzo più basso, rendendo anonimo tutto il resto – prosegue Prandini – è la tomba delle imprese italiane. È necessario che i consumatori possano distinguere il vero dal falso, riconoscere la qualità vera da quella solamente reclamizzata. Si deve anche poter distinguere tra produzioni realizzate secondo standard e norme più o meno restrittive a
tutela dei consumatori e dei lavoratori».
L’assenza di una legge sull’etichettatura chiara e semplice sta infatti creando grosse difficoltà all’agroalimentare italiano, come pure ad altri comparti di eccellenza dell’economia italiana, letteralmente distrutti da quest’assenza di tutela: basti pensare al settore tessile, calzaturiero e del mobile. «La nostra non è una crociata contro la libera concorrenza, al contrario: si tratta di pretendere una competizione effettivamente “libera” perché giocata ad armi pari rispetto alle multinazionali e ai grandi gruppi internazionali che acquistano dove costa meno, spesso producono dove si può inquinare di più e rivendono poi nei nostri mercati europei poiché sono quelli dove i consumatori hanno un maggior potere d’acquisto e possono pagare di più. Crediamo che in questa battaglia, che è una battaglia di civiltà e di interesse generale, anche i sindacati dei lavoratori dovrebbero alzare la voce, una volta tanto, senza assecondare il tentativo di quella grande industria che passo dopo passo sta delocalizzando le fabbriche in Cina, Indonesia, Bangladesh provocando così la perdita di milioni di posti di lavoro nel nostro paese».

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